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Quote latte multe errate?

Con un algoritmo sbagliato, secondo il quale una mucca può fare latte fino a 82 anni, AGEA avrebbe gonfiato il parco bovini del nostro Paese del 20%. I funzionari dell’Agea sono indagati per falso in atto pubblico dalla procura di Roma, come riporta Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera:

“Sulla scorta di una querela sporta a Roma contro Agea da parte di un gruppo di allevatori milanesi rappresentati dall’avvocato Consuelo Bosisio, la magistratura è stata investita della non corretta quantificazione delle quote latte, e quindi degli errori di calcolo nelle sanzioni inflitte per il superamento teorico della singola quota latte attribuita.
Per giustificare gli errori commessi, e quindi schivare le responsabilità contabili che rischiavano, i funzionari Agea – ricostruisce ora la giudice preliminare romana Giulia Proto – «hanno chiesto la modifica dei criteri di calcolo del numero dei capi potenzialmente da latte. All’inizio l’algoritmo, che si basa sul lavoro della commissione Mariani, prese in considerazione l’età dell’animale tra i 24 mesi e 10 anni di età». Ma «successivamente sono stati modificati i criteri per l’ottenimento dell’algoritmo» e il limite massimo di età «è passato da 120 a 999 mesi (ossia 82 anni di età)!». Il punto esclamativo è del giudice, che sulla base di alcune mail agli atti scrive che «ciò avvenne per espressa richiesta dei funzionari di Agea, con l’evidente fine di giustificare il dato in eccesso che aveva determinato le sanzioni».

Il risultato, indicato sin dal 15 aprile 2010 da un’informativa del colonnello dei carabinieri Marco Paolo Mantile, è che «portando il limite massimo da 120 mesi a 999 mesi, si ha una differenza in aumento di 300.000 capi, pari a oltre il 20% dell’intera popolazione bovina a indirizzo lattifero». Una scoperta politicamente insostenibile nei rapporti con Bruxelles, stando a quello che il 20 luglio 2010 l’allora capo di gabinetto del ministero delle Politiche agricole dirà (non sapendo di essere registrato) al colonnello per provare a convincerlo dell’opportunità di ammorbidire la relazione.
Ora il gip romano scrive che l’algoritmo da 999 mesi, «il cui inserimento è stato fortemente voluto dai funzionari di Agea che non potevano certo ignorare la sua inverosimiglianza, comporta calcoli non rispondenti al vero», inseriti in atti pubblici, «il cui contenuto deve pertanto ritenersi ideologicamente falso». Di qui il no del gip all’archiviazione, e la restituzione degli atti al pm affinché indaghi i funzionari Agea per l’ipotesi di reato di falso in atto pubblico“.

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